Quotidiano la Nuova Basilicata, domenica 21 gennaio 2001,
pag. 36 Vincenzo D'ACUNZO, artista di "comprovata manualità", così scrive di lui la poetessa Rosa Maria Fusco, nasce a Padula, nel 1950. All'età di 20 anni, dopo aver compiuto i suoi studi nel salernitano, si trasferisce a Tursi, ove attualmente vive e lavora. Ha partecipato a numerose manifestazioni artistiche nazionali ed internazionali; ha allestito numerose mostre personali, scenografie per manifestazioni pubbliche e spettacoli: ha esposto all'EXPOARTE di Bari ed a Parigi per una collettiva quale finalista di un concorso internazionale di pittura. Inoltre, in occasione del Natale '93, ha eseguito "l'installazione", un'opera polimaterica con materiali riciclati, dal titolo "L'Evento", nella Chiesa Madre di Tursi, commentato da quotidiano e ripreso da numerose radiotelevisioni. Molte delle sue opere appartengono a collezioni pubbliche e private. L'arte di Vincenzo D'ACUNZO nasce e si forma attraverso un lungo processo di ricerca personale, un'attenta e approfondita analisi dei moti dell'animo e degli accadimenti, del rapporto tra sacro e profano; una ricerca spasmodica che spesso lo ha condotto alla deriva, in preda ai tumulti del sé, di quell'io tanto diverso e pur tanto simile all'essere comune, quotidiano. D'ACUNZO si aggrappa alla sua arte, la plasma e si compenetra con essa. Il processo formativo dell'artista ha, quindi, attraversato diversi stadi, estrinsecandosi in differenti modalità espressive, infatti, l'artista vive un periodo di ricerca, un periodo figurativo in cui rappresenta cavalli e nudi, ed un periodo in cui nella sua arte modella materiali, come la ceramica, fino a raggiungere l'espressione attuale, detta "Installazione", dove la sua opera, apparentemente un assemblaggio di oggetti di varia natura e dimensione, acquista un'anima, restituendoci significati, immagini e sensazioni concrete, e pure fuori dal tempo. Nell'opera "L'Evento", trattasi di un presepe, il Vescovo Mons. Rocco Talucci, sottolinea che "il punto forte del presepe ideato e realizzato da D'ACUNZO è la luce". Lo scrittore e critico d'arte Giovanni Prosperi, parlando dell'opera "il Focolume", vettore neo - plastico attivo, evidenzia come il Focolume è il sole posto al centro del sistema cosmico del colore di D'ACUNZO, i suoi raggi fisici e metafisici simultaneamente producono in lui un raccolto di opere di neo - plastica concettuale, dove il suo gesto di ritrovamento è connesso sul vettore attivo del fare. Secondo Prosperi, D'ACUNZO è un sottile e meticoloso certosino dell'arte contemporanea che lavora nella dimora che separa Marcel DUCHAMP da Jackson POLLOCK. La sera del 31 dicembre 2000, ovunque si festeggiava l'inizio di un nuovo anno, a Roseto Capo Spulico (CS) veniva inaugurata, alla presenza di 400 persone circa, la nascita della nuova sala ricevimenti "Gran Gala" del complesso turistico "Miramare", caratterizzata da un unico grande ambiente, coperto da tetto in legno lamellare, costruito secondo una tecnica particolare. Adesso ha conferito una "nota originale" la "vetrata d'ingresso", eseguita in un unico esemplare dall'artista Vincenzo D'ACUNZO, vetrata che per tecnica di esecuzione, materiali usati e dimensioni, è catalogabile tra le opere d'arte moderne definite "Installazioni". Si tratta di un’opera polimaterica, costituita di quattro pannelli da dimensioni 125x275 e due pannelli di dimensioni 50x200, inserita all’interno di una struttura modulare di alluminio e realizzata con materiali, riciclati, reperiti in larga parte nel corso dei lavori di costruzione dello stesso complesso che la ospita. L'opera rappresenta la vita delle serate all’interno del complesso turistico: notti di note ispirate alla tradizione musicale folk comunemente definita “liscio”. Su questa tradizione e sull’amore e la passione che il proprietario del locale nutre per essa, il “Miramare” ha costruito la sua immagine. Con questa opera, l'artista ha voluto esprimere due tematiche presentate in catalogo da Stefania Rizzo. "Il primo motivo è dunque dato, sul piano artistico, dai personaggi del duo fisarmonica-chitarra, sinteticamente configurati in note musicali, quale parte vivente del tutto. Dalle note i personaggi traggono vitalità e, attraverso le stesse, ne diventano veicolo. Le note simboleggianti aliti di vita che trovano ragione di esistenza attraverso gli strumenti musicali la cui realizzazione quasi fedele racchiude la loro funzione di semplice mezzo privo di una caratterizzazione metaforica. Punti di colore simili a coriandoli costituiscono il fondo: esso, nella sua vivace policromia, esprime la diversità e l’allegria, è significante della realtà collettiva esterna retta e governata dalle leggi interne che la sottendono, acquisibili nell’idea di armonia dell’insieme e ne regolano il caos soltanto “apparente”. Il secondo motivo, sviluppato sulla facciata interna, si estranea dalla matericità della vita e, per riflesso, dalle persone che la movimentano per rappresentare lo spirito che aleggia e la musica che la fa da padrona nel suo attimo di espansione vitale. Il rigo musicale, che nell’opera ha una sua armonia ottica interna oltre ad una funzionalità strumentale rappresentativa, prima intero nella parte centrale si rompe sui pannelli laterali per lasciar salire il brio e l’allegria rappresentati dai tappi di spumante. Dalla lacerazione del rigo erompe una cascata di note sprigionanti energia. E’ un’esplosione di vita e colori immediata e momentanea: le note infatti, come zampillo di fresca memoria vanno a depositarsi sul confine del nostro presente riducendosi a corpi simili e incolori. Arte – musica è il binomio che si coniuga perfettamente in quest’opera perché l’una trae e trova espressione nell’altra. Nel gioco sapientemente costruito di suoni chiaramente ridotti a simbolo e colori la vetrata sviluppa la sua univoca logica interna che fa dei sei pannelli un unicum tematico." Alla fine Stefania Rizzo nella presentazione dell'opera conclude scrivendo che "L’arte riciclata si eleva a linguaggio universale e diventa espressione della condizione umana secondo la personale visione dell’autore improntata ad una concezione essenzialmente pessimistica dell’esistenza. Di questa condizione diventano simbolo lo schematismo della rete metallica a spazi fissi e regolari e la linea di demarcazione che è insieme limes gnoseologico e rappresentazione della dimensione temporale e unicamente terrena dell’uomo. Domina su tutto l’idea di una cesura netta tra realtà fenomenica e mondo immaginifico: la musica tradotta in note fini a se stesse è solo un estatico momento che perde il suo vitalismo andando a depositarsi a margine di quella linea, soglia invalicabile ed impenetrabile. Di qui l’ossessionante ripetizione in tutti e quattro i pannelli maggiori, con lievi sfumature, dovute alla morfologia del materiale usato, relativa al concetto fascinoso del superamento del limite comune delle cose". Q20 |