I QUATTRO
EVANGELISTI ( Ovali; colore acrilico su legno multistrato da mm. 16, pretrattato dall’autore; dimensioni: cm. 167x120 circa; Dicembre 2008. Dono dell’Autore alla Chiesa Cattedrale Maria SS. Dell’Annunziata e a tutta la comunità di Tursi, occuperanno gli spazi vuoti del transetto.) L’illuminazione soffusa, le lucine intermittenti e il gorgogliare del ruscello del presepe, il tepore del caminetto, un libro non proprio coinvolgente, la “fatica” postprandiale delle feste natalizie, congiurano e, mentre osservo la lavandaia, il cacciatore, ed una paperella, caduta vicino allo stagno ove il pastore abbevera le sue pecorelle, scivolo in un beato torpore, che in breve diventa sonno. E non so quanto tempo dopo il mio inavvertito ingresso nella realtà onirica, invece che pastore tra i pastori con pecora al collo (non oso Angelo tra gli Angeli osannanti) o panettiere o fruttivendolo, mi ritrovo non nel presepe, ma di fronte a quattro quadri ovali, dipinti in uno stile che non è antico, ma nemmeno moderno. Essi raffigurano i quattro Evangelisti, colti nell’atto di scrivere, sotto ispirazione, i loro Vangeli, con elementi e tratti remoti ed attuali, che determinano un immediato contrasto, che si rivela, poi, il trait-d’union ed il loro filo conduttore. Essi sono rappresentati secondo la tradizione e l’iconografia classica: l’Angelo per S. Matteo, il leone per S. Marco, il bue per S. Luca e l’aquila per S. Giovanni. Lo stile complessivo è tale da potersi ben inserire nel contesto delle opere esistenti della Cattedrale, ma poco oleografico e per niente retorico, rischio facilissimo da correre per questi soggetti trattati da innumerevoli artisti in ogni epoca storica ed in tutte le scuole e gli stili pittorici. Sono opere dotate di una precisa, spiccata ed originale personalità artistica. Personalmente valuto più fruibili e godili esteticamente gli ovali rappresentanti S. Matteo e S. Marco, per una più ricca (e anche facile) varietà di linguaggio cromatico, mentre più tesi al “messaggio” considero quelli di S. Luca e S. Giovanni. Eppure, anche per la loro particolarità: non quadri poligonali con lati ed angoli, ma ovali che comportano diverse e notevoli difficoltà tecniche di esecuzione, come se mi si imponessero, catturano la mia attenzione, prima, esigono, quasi, un’attenta osservazione, poi, conducendomi, infine, alla riflessione. Ed è così che li vedo, li godo, li vivo, li soffro.( L’arte è prima beatitudine estetica, poi sofferenza intima indotta, in ultimo sublimazione e catarsi). SAN MATTEO L’Evangelista è raffigurato come se cercasse/chiedesse ispirazione e luce all’Angelo, quasi efebico giovine emergente da nubi e da altri elementi evanescenti: fumo, bolle, che si concretizzano in una spirale evidente, digradante dal vicino al lontano, posta al livello del collo tra la spalla e l’orecchio destro, spirale,che richiama la provenienza della creatura divina. La testa, completamente calva, del Santo segnata da una grossa vena, la fronte aggrottata, solcata da numerose rughe ed il volto incavato da una sola e profonda dallo zigomo sinistro alla mandibola, che si perde nella barba, l’occhio attento e concentrato, il collo in torsione laterale, evidenziante muscoli e legamenti in tensione, mentre documentano la richiesta di ispirazione e lo sforzo di cogliere “ il messaggio”, che la luce dell’Angelo effonde con sé, esprimono il dissidio non sanato nell’uomo tra il suo passato: il possesso, espresso con chiasmo figurativo dal denaro rappresentato dalle attuali monete, il peccato ed il rischio, la paura per la ricaduta sempre possibile. Notevole, ma non invadente, l’ondulazione della tunica rossa e del mantello nocciola. (Particolare interessante: in tutti gli altri tre Evangelisti il mantello è rosso.) Prorompente la pinna , elemento quasi al centro della composizione, sintonizzato con i colori e l’aura da cui emerge l’Angelo. L’opera è dominata essenzialmente dai due soggetti protagonisti: il Santo e l’Angelo, lo scrittoio, in legno moderno, in basso a sinistra, occupante quasi un terzo della composizione, s’impone per la presenza delle monete di euro della mano sinistra ( che l’Autore vuole adunca, in segno di avidità) che ne stringe una. L’impressione complessiva di questo quadro è di grande tensione e sforzo mentale, realizzata con colori decisi e contrastanti, con un netto stacco tra la luce e lo Scrittore, in un’armonia di tinte e colori dalle poche sfumature, ma dai morbidi accostamenti, che nel complesso crea una sensazione di pacata riflessione e pensosa, personale introspezione. SAN MARCO Come a titolo esplicativo di questo ovale troviamo, al centro in alto, il simbolo dell’Evangelista: il leone alato, citazione di scultura veneta e la contestualizzazione con uno scorcio da cartolina di Venezia, gondola e basilica comprese. E’ evidente, qui, l’ispirazione sotto forma di potente, plastico fascio di luce proveniente da destra, che divide il quadro in due parti, separate dalla luce e dall’ombra, la stessa figura di S. Marco è segnata da questo taglio di luce. Seduto su un trono classico, in pietra, come lo è lo stemma raffigurante il leone, egli si presenta maestoso, intento e sereno. La serenità è la cifra di questa composizione, espressa dal gesto calmo, sicuro e garbato della mano destra, che con delicatezza tiene la pinna e ne evidenzia visivamente il movimento dello scrivere e della mano sinistra che regge il libro, è accentuata dal bel volto pieno, in cui il gioco luce/ombra contribuisce ad umanizzare ancora di più il soggetto, dai lunghi ordinati capelli, è richiamata da una ruga che segna al centro la fronte spaziosa, è sottolineata dalle sopracciglia aggrottate e dagli occhi non chiusi, ma abbassati, intenti a seguire il testo che la mano scrive, il tutto è immerso ed esaltato dalla compostezza della tunica e del mantello(rosso), dal movimento e dalle onde della veste, che richiama il celebre “ginocchio” del Mosè di Michelangelo, in felice, armonica policromia, resa dal giallo della tunica, dall’azzurro della veste e dal rosso del mantello, colori ben separati, dominanti la composizione senza forzature, rispettando la sintassi dell’ovale, che mira a comunicare un sentimento di compostezza e pacifica conversazione col sé più intimo. SAN LUCA La tradizione e l’iconografia consuete ritornano nell’ovale di S. Luca. In più è preponderante, anzi diventa co-protagonista del quadro, la realtà di S. Luca uomo colto, medico e soprattutto pittore (è il santo protettore dei pittori). A lui si vorrebbe ascrivere una delle prime raffigurazioni della Vergine, facendone un antesignano di tutta la successiva, secolare iconografia mariana. Al di là dell’attribuzione pedissequa di questa notizia a fonti e documenti probanti, D’Acunzo la assume come certa e la propone due volte con una prima icona, di presumibile ascrizione a Luca pittore ed una seconda in fieri, in chiaro stile contemporaneo, sottolineato fortemente, come una diapositiva, dai moderni strumenti del pittore e soprattutto dal barattolo di diluente alla nitro. In ciò è ribadito il leit-motiv che caratterizza ed unisce i quattro ovali: il contrasto, che diventa richiamo, tra il passato, l’antico ed il presente, l’attuale. Notevole la presenza dello scrittoio, un po’ più sfumato, impresso in basso su di esso, il simbolo dell’Evangelista: il bue alato, che appare meno marcato e deciso, rispetto ai simboli degli altri Sacri Scrittori, tanto da sembrare quasi solo abbozzato, e, quindi, meno definito e quasi naif nell’effetto finale. Ciononostante, questo quadro è il più ricco di elementi e particolari, rispetto agli altri, pur nella staticità della figura centrale. Il corpo di S. Luca s’impone al centro ed occupa quasi tutta la composizione su uno sfondo verde oliva, cangiante da destra a sinistra in due nette fasce di colore, una verde, l’altra marrone pieno. Questo cromatismo di fondo dà una patina di antico, favorisce una lettura classica di tutta l’opera, ad eccezione della “finestra” in alto a sinistra, aperta sul contemporaneo. La bella testa piegata, gli occhi chini sul testo in fase di concreta stesura (si leggono chiaramente lettere di alfabeto latino, di cui una scritta a metà, ancora sotto la punta della pinna) offrono un’immagine di compostezza e presentano lo Scrittore completamente assorto nel suo compito divino, ulteriormente caratterizzato dalla fronte larga e stempiata, solcata da profonde rughe. Il volto, incorniciato da una curata barba brizzolata, è sereno, la guancia destra è la parte del corpo più direttamente colpita dalla luce dell’ispirazione che, quasi originandovisi, si concentra sulla pinna e sul foglio bianco segnato dal primo rigo. Forte il contrasto chiaroscurale del volto: il più marcato dei quattro protagonisti di questi ovali. Il mantello rosso, che scende fino alla base dello scrittoio, ed un saio marrone vestono di austerità e contegno un corpo facilmente definibile vigoroso. L’osservazione di questo dipinto offre una sensazione di tranquilla concentrazione e di pacatezza, pur nel continuo correre dell’occhio dal soggetto centrale alle due diverse, contrastanti(cronologicamente) icone dello sfondo. S. GIOVANNI L’ovale dell’apostolo prediletto di Gesù, tanto da affidargli la Madre, pur annoverando tutti i topoi degli altri: simbologia, iconografia, ecc., presenta un netto e forte stacco stilistico compositivo e cromatico, quasi a voler rompere, per concluderlo, questo ciclo, questo racconto per immagini e colori, intriso di simbologia e metafore. Questo quadro si impone per diversità e originalità rispetto agli altri. Ribaditi al minimo gli elementi della composizione, possiamo dire solo quattro: l’Evangelista, l’animale suo simbolo, lo scrittoio e l’ispirazione resa come luce. Balza subito all’occhio la posizione del Santo, in piedi col braccio sinistro plasticamente sollevato a sostenere, a mo' di falconiere, l’aquila. Ma questa non è raffigurato come il solito rapace, bensì come un suo cucciolo, un tenero aquilotto dal giovanile piumaggio, che osserva con la curiosità interessata e birichina dei bambini il maestoso Scrittore dalla chioma e barba canute, sulla cui fronte (sempre) larga e stempiata una evidentissima vena testimonia lo sforzo di cogliere il Messaggio e “tradurlo” in un testo in fase di composizione in chiare lettere greche. Il mantello rosso ed una veste bianca che, quasi confondendovisi, pare originarsi dalla barba, scendendo fino al fondo dell’ovale, ed il braccio sinistro sollevato a sostenere l’aquilotto danno imponenza alla figura, che, col naso dritto e regolare, il viso inondato di piena luce, incute riverenza e quasi timore all’osservatore. In questa composizione, più che in altre, il ruolo giocato dalla luce è più mai caratterizzante, reso da un deciso contrasto cromatico in cui i colori sono forti e separano nettamente il campo: blu carico, quasi buio a sinistra, il rosso del mantello, gli altri colori del protagonista, il marrone dello scrittoio, al centro, l’azzurro, il celeste. Questi contrasti partecipano alla specificità dell’ovale del quarto Evangelista, la cui peculiarità è potentemente espressa dalla spirale di colore e luce digradante dal vicino al lontano, con le tinte che dall’azzurro si stemperano e diluiscono fin quasi al bianco, simbolo della Luce Pura. La spirale, in evidente e palpabile movimento concentrico, richiama l’infinito, l’eterno… Dio, da cui proviene la luce che avvolge l’Evangelista (quasi tutto illuminato) e colpisce soprattutto la mano destra, che scrive, ed il libro, poggiato non più solo sopra uno scrittoio (qui meno evidente) e un leggìo, ma sopra un morbido cuscino. Questa spirale di luce s’impone al centro della composizione, pare voler catturare l’osservatore e portarlo nel suo vortice velocissimo all’Infinito, richiamando l’Apocalisse e le ansie, le paure, il Mistero, che S. Giovanni in essa ha evocato e dato vita. L’insieme e l’armonica fusione di questi pochi ma potenti ed imponenti elementi fanno sì che l’idea complessiva di questo ovale travalichi il suo soggetto e rimandi direttamente alla Divinità, di cui quegli elementi non sono che mezzi, espedienti per la Sua Manifestazione. L’impressione provocata da quest’opera nell’osservatore è una presa di coscienza della propria miseria, limitazione e nullità, che induce ad una sensazione di sgomento e smarrimento, che si può trasformare in tensione di speranza, dirigendo lo sguardo alla spirale del Vortice della Luce della Salvezza.
L’emozione provocata in me da questa inaspettata visione è fortissima, tanto da turbarmi profondamente e farmi riemergere dal sonnolento torpore che mi aveva vinto. Quanto è durato questo sogno? Non so dirlo, ma di sicuro, mentre continuo svogliatamente a leggiucchiare questo “libro non proprio coinvolgente”, mi ritornano in mente brani del sogno, quando mi chiamano per andare a Messa. Non so spiegare, e voi non potete capire, qual è stata la mia meraviglia, quando, entrato in chiesa, ho visto sull’altare quattro cavalletti da pittore che sostenevano altrettanti ovali. Mi sono avvicinato, prima di slancio, poi sempre più titubante. Avevo quasi paura di arrivare. Sono arrivato sull’altare. (Era ancora un po’ presto per la Messa) Erano gli ovali dei QUATTRO EVANGELISTI di Vincenzo D’Acunzo. Li ho osservati attentamente uno per uno. Avrei potuto anche non farlo. Erano esattamente quelli che “avevo già visti”. Quando si dice che l’arte fa sognare. Antonio RONDINELLI |