COMMENTI GENERALI ALL’OPERA di Emilio ANDRISANI

Non so quanto la poesia di Vincenzo possa essere commentata o definita poesia.

I suoi versi sono un giocare come l’incresparsi delle onde del mare, un andare e tornare sempre con forme diverse, come la sua pittura, fluttuante, che ricordo dalla mia età verde.

I concetti sono quasi inafferrabili, irraggiungibili, come i sogni di una generazione che ha impostato la sua vita sui sogni.

Una poesia che a sprazzi, sempre diversa come l’incresparsi delle onde del mare, forse ci stupisce, forse ci interroga, a volte ci spaventa, sicuramente ci risveglia dall’apatia dell’abitudine, dall’indifferenza che porta l’uomo alla solitudine.

Ed eccoci li, dopo aver letto “SULLE RIVE DELLO JONIO” immobili, inerti, in attesa di un alito di vento vitale.

Non mi sembrano poesie scritte da un poeta ma da un uomo che sogna poeticamente, sogna con tutta la sua forza terribilmente arrendevole, la sensibilità di un gabbiano ferito, l’emozione di un’onda che spinta sulla riva rientra nel mare.

Si sente, in questi scritti, il dramma che si vive nel sogno, dove nulla è falso, artefatto, nulla è di convenienza come nella bugiarda realtà quotidiana.

La forza vitale, che ci porta il vento mentre immobili, inerti, in attesa, siamo “Sulle rive dello Jonio”, è il ritrovare le emozioni smarrite.

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