Caro D’ACUNZO,
non è facile unirsi al bel coro che festeggia in apertura il suo “Sulle
Rive dello Jonio” e alle voci soliste dei “grandi lettori” che
accompagnano, pagina dopo pagina, le singole poesie.
Che si può dire di più? Non si può che registrare qualche immediata
impressione.
Colpisce immediatamente il lettore l’incontro con due epici soggetti: l’Io
ed il mare.
Il rapporto rassomiglia più ad un’identificazione che ad un
rispecchiamento, tanto il protagonista uomo è impaziente, intollerante di
mediazioni culturali e intellettuali che mortifichino la sua diretta
irruenza.
Identificandosi con il mondo naturale l’Io non vuole certo calarsi su un
piano di neutra e dimessa terrestrità; vuole al contrario far sentire il
respiro cosmico e primordiale della sua vocazione individuale: da una
parte la sua tensione orizzontale (il mare che sembra infinito e che è al
tempo stesso qui e altrove, il mare mutevole e costante, quasi liquido
amniotico per la più elementare e autentica esistenza, e insieme invito al
viaggio, al sogno, alla nostalgia di inesplorate – e anche inesplorabili –
lontananze), e al tempo stesso la vocazione verticale al volo (segno assai
eloquente è l’aquila che “triste” e sdegnosa non accetta di “planare” là
dove “gabbiani girovaghi / impertinenti / piluccano / avanzi in pantanelli”,
ma che compare in altra lirica, ormai in esplicita coincidenza con il
poeta, con le “ali mozzate” depotenziata come l’albatros di Baudelaire, ma
convinta “fermamente / che volare / rimane / la sua aspirazione / attuale
/ se lo volesse”).
L’Io poeta che qui si presenta è uomo del nostro tempo e, come tale,
consapevole di vivere in una società che sembra aver perso la tensione
verso il sublime, che da una parte, sul piano dell’azione, spinta da un
basso calcolo interviene degradando l’ambiente, dall’altra, sul piano del
pensiero, sostituisce spesso cavillose elucubrazioni dissacranti alla
presa diretta con la bellezza del mondo e al colloquio dell’anima. Così
“l’eroe” sperimenta ed esprime a volte una malinconia pensosamente
sommessa, altre volte la rabbiosa rivolta. Le sue scelte linguistiche,
lontane da preoccupazioni retoriche e teoriche, rispondono a un puro
bisogno espressivo e la convivenza di parole di espressionistica violenza
(digrignare, scalciare, sventrare) e di altre di più filtrata liricità
asseconda la mobile vicenda interiore ed è l’inconfondibile io
protagonista che amalgama e omologa il vario materiale linguistico con la
sua personale sintetica impronta. Il sigillo forte di una personalità
complessa che affronta generosamente i rischi della vita, che conosce lo
“spleen” ma non la resa. Sotto il titolo “Energie” ricompare “il
volo planato / di un’aquila libera / mai doma”. La sua salvezza è
nell’azione (grande valore simbolico, aldilà di ogni intenzione, ha
l’esercizio del maratoneta che concilia energia e controllo sapiente) ma
anche e soprattutto nell’arte: poesia e pittura “sapide di sale greco”.
Con i più cordiali saluti
anche da mia moglie Noemi,
sua attenta lettrice
Isola d’Elba, settembre 2005
Emerico Giachery
Un grazie caloroso al prof.
Giachery per il suo tempo prezioso, tolto alle sue cose importanti e
dedicato alla lettura e commento delle mie liriche.
Un grazie alla signora Noemi che ha voluto iscriversi tra le mie "attente
lettrici".
Grazie ancora alla straordinaria coppia Emerico e Noemi alto esempio di
onore alla cultura ed all'amore.
Vincenzo D'Acunzo
|