COMMENTI GENERALI ALL’OPERA di Eufrasia MELLACQUA |
Una storia, una traccia che scandisce altrettanti “tempi” di lungometraggio che procede per fotogrammi onirici più che reali, a passo serrato e incalzante da animale braccato. Spezzoni di incubi e sogni, di vita reale e di vita non vissuta, che si succedono assecondando pulsazioni come singhiozzi, compongono la voce che in queste poesie prova a scavalcare le notti e i giorni per riuscire ad esprimere il tremito ed il grido dell’anima. E poi il volo, aspirazione ossessiva, volo ideale e reale, umano e icarico, con e senza ali, volo del pensiero verso l’amore e la vita vera. D’ACUNZO può così disporre queste parole in schiere, apparecchiarle nel tentativo di celebrare un esorcismo che liberi dal senso di annientamento, dal pungolo del dolore che segna le notti, i giorni, le furie, gli incontri e l’amore vissuto in queste pagine. Si tratta di un vero e proprio rito, l’aria rimane intrisa del soffio del mare e la vita persiste tale, nella sua caotica mescolanza di minaccia e leggiadria…….. E’ come se il poeta innalzasse una preghiera, temeraria e stagnante, per poterne ascoltare gli sbalzi, gustarne i guizzi felici e non, per invocarne le metamorfosi in materia inerte. Proprio la ripetizione di parole o brevi frasi, spesso in chiusura delle poesie, suona come una formula che se non può guarire la parte di essere del poeta sanguinante come una piaga, gli consente però uno svuotamento di tutto il superfluo. All’inizio questo dono della poesia è vissuto con senso di smarrimento, che lo coglie solo o con il senso dell’amore mentre poi si fa strada quella tremenda paura di dissolversi che può arrivare a smorzare le emozioni, distaccandolo da sé e dal mondo attorno. “Sferza il vento / cielo e terra / sventrando sacche d’acqua / cariche dell’ozio d’agosto / per il mare bruno che scava / con le sue onde alte / la sera e i siti umani, estivi/ sbrindellando / ricordi e anfratti/ annidati, numerosi / nel profilo frastagliato.” La grande sfida della sua poesia è proprio quella di tramutare quella cantina stagna che toglie sole e aria, nella stanza sgombra di un uomo che ancora non ce l’ha fatta a liberarsi da se stesso, e ora se ne sta lì con la sua storia, pronto ad accogliere la luce quando arriverà. Insieme a quelle energie irrazionali che prima apparivano distruttive e invece adesso sono la sua sola grande forza : il segreto di un respiro più vasto, ancestrale, dove non si domanda ma è dato di bere a labbra spalancate, e da una fonte non più torbida, non più impetuosa. |