DISSIPAI (Poesia in cinque strofe, ciascuna seguita da un distico, versi liberi e sciolti)

Questo componimento sembra il consuntivo di una vita, pare voler tirare le somme di un’esistenza, nella consapevolezza di aver fallito, di aver bruciato tutto. Tale dimensione è data dai numerosi tempi perfetti, primo fra tutti il titolo stesso Dissipai e poi conobbi, dissipammo, violammo, praticammo, vivemmo. Si può dividere in due parti: quella iniziale è data dalle prime tre strofe, la seconda dalle restanti due. Nella prima c’è la presa d’atto di un fallimento, accettato con fermezza, dopo aver attinto a piene mani alle dissolutezze contenute nel “vaso di Pandora”, invece di praticare le virtù, “invece di prelevare / dal fondo della speranza”. Questo fallimento, accettato virilmente e senza lamentazioni, non si preclude la speranza nascosta e manifesta nella parola-spia arcobaleno e nella domanda (quasi retorica) “Chissà semmai comparirà l’arcobaleno”; se non si lusinga la speranza, di certo  si ribadisce la ferma consapevolezza ed il sicuro orgoglio nel distico, posto a conclusione, come epigrafe della prima parte “vivemmo l’arte nell’essere / superfluo fu testimoniarla”, prepotente ed estetizzante affermazione degna di Oscar Wilde.  La quarta strofa è quasi un cercare consolazione nei “Molti poeti (che) hanno avuto poca vita / per sminuzzare il turbamento”, ma è anche un risentimento sonoramente espresso con quell’ eppure, perché molti poeti “hanno visto e cantato / la puledra del tempo domata / da un’indiana nuda, libera di cavalcare / sgroppare nell’iride solare”. Belli questi quattro versi per l’immagine di libertà che esprimono con la puledra del tempo e con l’indiana nuda, libera di cavalcare / sgroppare, ove compare il cavallo, richiamante spazi aperti, corse libere e metafora di libertà che evoca la mitica amazzone (l’indiana nuda) anch’essa simbolo di vita libera, in armonia con la natura. Il ritmo ed il movimento di questa scena sono dati anche dagli enjambements tra i vv.4-5 “cantato / la puledra” e i vv.5-6 “domata/da un’indiana nuda”.

La lirica chiude con disincanto ed aridità, conseguenza della dissoluzione iniziale, espressi con acre compiacimento, “scavare più dentro”, “ultima sorgente”, deserto, bonificato, nel pessimismo che vuole ancora “sperare che l’indiana / abiti la mia prateria interiore”, significando l’anelito a mantenere, se non le illusioni ed i sogni dissipati, almeno la propria libertà soggettiva, concludendo così la metafora della puledra e dell’indiana, simboli di libertà, fisica prima, interiore poi, che porti il poeta a “fumare il calumet” almeno con se stesso.

Antonio RONDINELLI

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“Dissipai” per aggrapparsi saldamente alla rete per non scappare, per non permettere a nessuno di uccidere la speranza  coltivata ora dopo ora, salvare nessuno dei segreti contaminati del vaso di Pandora……. Avere il coraggio di mentire a se stessi pur di essere fedeli sino all’inverosimile; fino a giungere al fondo e lasciar persistere incorrotta e inattingibile la speranza, serva di ogni uomo, di ogni sogno, di ogni vita vissuta come reale, per poter porre, ancora una volta nel buio di quell’angusto vaso, i piaceri frementi di un’anima intrappolata in un corpo febbricitante….

Crogiolarsi al pensiero di una morte dolce e delicata, rifiutare il dolore lento e insopportabile, ciechi di fronte ad un arcobaleno eclissatosi prima ancora di prendere colore dove vivere era possibile solo in nome dell’arte nel suo significato più nobile ed esaltante.

E chi, e dove e quando percorreremo il sentiero di quella puledra domata da una indiana nuda in groppa libera di cavalcare…… Hanno avuto solo l’illusione di quella visione….. Al poeta è dato di guardare oltre a quella lunga notte…. Non è detto che sia un privilegio narrare i turbamenti  mescolati alle assurdità quotidiane quando il respiro dei dormienti approfondisce tutto l’orrore….. e perché solo allo sguardo del poeta è dato di andare oltre le convenzioni, di andare più a fondo….. mentre, il poeta vorrebbe tornare e salvare quella puledra, pascerla, fumare quel calumet, ridonare anima a quell’avidità …. e sperare che quell’indiana possa trovare rifugio nel suo animo scalfito dove è possibile far incrociare le ombre con la rose dei venti, dove si percepisce d’essere caduti in quel vortice di suggestioni tipico di quando ci si trova al cospetto di un idolo misterioso di uno sciamano.

Eufrasia MELLACQUA

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