PERCORSO PITTORICO
 
 

Rivista "AMICIZIA & CULTURA Tursi 1982 - 1992",
edizione marzo 1994, casa editrice OTTOMANO, da pag. 109 a pag. 118
"VINCENZO D'ACUNZO TRA ARTE E ARTIGIANATO
(mostra di ceramiche artistiche Anglona, un faro) - 10 agosto 1988"

Il 10 agosto 1988, nella palestra della Scuola Elementare, l'Associazione, sponsorizzata dalla C. R. A. dell'Icona di Tursi, inaugurò la mostra di ceramiche artistiche Anglona un faro: Vincenzo D'ACUNZO tra arte e artigianato. Alle ore 18, ai saluti del vescovo di Tursi, Mons. Rocco Talucci, del Presidente della Comunità Montana Basso Sinni, avvocato Enzo Favale, del Presidente della C. R. A., ing. Antonello De Santis e del Presidente dell'Associazione, avv. Giuseppe Labriola, seguirono le relazioni di Rocco Bruno, segretario dell'Associazione, e del dott. Antonio Rondinelli. Bruno limitò l'intervento ad una breve biografia di Vincenzo D'ACUNZO (nato a Padula nel 1950 ma trasferitosi a Tursi a soli vent'anni, dopo aver conseguito il diploma di ragioniere e tuttora impiegato nel nostro Comune), al perché dell'ultima ricerca e ad una sintesi della storia di Anglona. Ripercorse, poi, le tappe fondamentali dell'iter artistico di D'ACUNZO pittore, già accostatosi alle immagini sacre, e, in particolare, alla devozione dei tursitani verso la Madonna di Anglona, presente anche nei versi di Tursi, pane casereccio dello stesso D'ACUNZO. Intervenne quindi il dott. Antonio Rondinelli che, anche avvalendosi di diapositive riguardanti le precedenti mostre di D'ACUNZO, tenne una relazione della quale riportiamo, qui un ampio estratto:

" . . . La storia del succedersi e dell'evolversi della tecnica è la vera storia dell'arte di D'ACUNZO. La ricerca di sempre nuove forme, in presenza degli stessi contenuti, è la potente ispiratrice del genio del Nostro, poiché egli, ricercando nuove forme espressive, ricerca in se stesso, alla ricerca di se stesso. E quando riesce ad esprimersi, allora manifesta il suo essere, inquieto, tormentato, contraddittorio, pieno di certezze insicure, manifesta la sua Weltanshaung, la sua visione della vita dell'uomo . . .

. . . Comincia a scavare nella coscienza collettiva per denunciarne i limiti, le ambiguità e le compromissioni, per lui è il contenuto che conta, per cui la figura umana perde progressivamente i suoi elementi non indispensabili . . .

. . . Ecco, allora, l'immagine del mondo e dell'uomo moderno: insicuro, condizionato, che realizza una momentanea, illusoria fuga dalla realtà in questa pittura apparentemente semplice, ma molto allusiva, che esprime l'impegno morale ( e anche la velleità moralistiche? ) del suo autore. Comunque, mentre esprime il suo disagio mette a nudo il nostro e non importa, poi, se il predicatore si converte insieme al penitente. La mostra del 1978 vede l'affermazione prepotente delle macchie, colori fusi, effetti ricercati con lo studio oppure ottenuti per caso, mescolanze estemporanee ed esperimenti cervellotici, fusioni a caldo con carboni accesi buttati sulla tela e poi ripresi col pennello o a freddo con gocce bizzarre colanti da un sacchetto di plastica bucherellato raccolto per strada. E' un po' il periodo "pop" di D'ACUNZO, superato dalle macchie larghe, dai colori contrastanti, che dicono il tema ecologico, con quei bidoni di spazzatura o quei sacchetti di concime grondanti sangue, e denunciano le illusioni della pubblicità . . .

. . . L'evoluzione stilistico - tematica di D'ACUNZO trova un'altra tappa nella mostra del 1983, quella dello studio del corpo, dei nudi, dell'amore fra i corpi, ma soprattutto fra menti. Sì, non c'è erotismo, né leggiadria di forme in quei corpi, ma sofferenza, a volte turbamento, creato da pulsioni interiori, incapaci di manifestarsi. Non c'è appagamento, né soddisfazione in quelle carezze, ma ricerca di una forma che dica il proprio turbamento, senza urtare contro la mentalità e la morale  correnti. Non poche incomprensioni ha avuto questa fase di D'ACUNZO che (ci sorge il dubbio) per questo la ha abbandonata troppo frettolosamente, come cosa impura . . .

. . . Adesso, invece, è diverso perché dal 1985 egli si è dedicato consapevolmente allo scultura, lavorando il più umile e più comune dei materiali: la creta. La manipolazione, l'espressione plastica, sono il suo nuovo modo di esprimersi, che continua il passato e si serve dell'esperienza precedente. Indubbiamente la creatività di D'ACUNZO è messa a dura prova da questo nuovo modo di fare arte, perché è più elaborato e non gode dell'immediatezza, del colpo secco e deciso della pittura. Troppe sono le fasi operative attraverso cui passa la scultura, prima di essere opera finita. Va dallo stampo in argilla, da cui si tira l'originale, alla cottura al forno, al ritocco di piccole parti, alla pittura a freddo, alla doppia cottura, alla verniciatura, che permette al pezzo di essere sottoposto alle intemperie . . .

. . . Questo nuovo, ma non imprevisto, approdo della ricerca di D'ACUNZO è un riuscito e felice intreccio fra arte ed artigianato in cui non è dato cogliere ove cessa l'artigianato e subentra l'artista e quando il pezzo artigianale diviene creazione artistica, frutto di prorompente intuizione ed unico anche nella riproduzione dei suoi multipli; i due momenti si fondano e compenetrano, senza un prima e un dopo, in un continuum costante e proficuo . . .

. . . Nelle ceramiche artistiche di questa mostra notiamo gli sviluppi di una ricerca e il tema ispiratore, fin troppo evidente, ma non scorgiamo ancora il travaglio interiore e la crisi dell'artista. Siamo certi che se continuerà e glielo e ce lo auguriamo, D'ACUNZO non mancherà di farceli vedere in modo netto, preciso, ancora provocatorio, alla sua maniera."

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